Tra stress, burnout e fughe all’estero: le storie della ristorazione stellata in Italia
Il giornale Il Fatto Quotidiano ha raccolto le testimonianze dei lavoratori di alcune famose cucine stellate e quello che è emerso è impressionante.
Stagisti, sous-chef, assistenti personali e non solo, hanno descritto le loro esperienze di lavoro in alcuni dei ristoranti stellati sparsi in Italia, comparandole al reality show statunitense Hell’s Kitchen, condotto nella versione italiana da Carlo Cracco, per descrivere ciò che hanno vissuto in quel periodo.
I temi che sono maggiormente emersi dai racconti degli intervistati sono il continuo turnover di stagisti, l’altissima competizione e il clima quasi militaresco, oltre ai rimborsi spese molto bassi a fronte di orari massacranti. Tutti questi elementi purtroppo fanno sì che molti aspiranti maître o chef abbandonino l’esperienza dopo pochissimi mesi. Tantissimi, infatti, hanno raccontato di essere scappati da esperienze molto logoranti dal punto di vista psicofisico e di aver sviluppato quella che comunemente viene definita sindrome da burnout. Vi riportiamo qui di seguito alcuni dei racconti:
Dario – ha lavorato per un anno in un noto ristorante stellato italiano dopo essersi formato in una delle più prestigiose scuole del campo e aver fatto un anno di esperienza in un locale stellato di Londra: “lavoravo fino a 17 ore al giorno per 1.200 euro al mese, per cui la mia paga era di circa 3/4 euro all’ora.”
Giorgio – ha lavorato in un noto ristorante stellato toscano: “con la scusa dello stage, viene fatto un contratto da stagista e poi veniamo messi a lavorare normalmente in servizio e nelle preparazioni. Gli orari sono infiniti e gli straordinari non vengono pagati nemmeno a chi è assunto con un contratto dipendente”.
Giacomo – ex tirocinante di un ristorante stellato del centro di Roma: “sulla carta avrebbe dovuto essere un tirocinio da 40 ore settimanali per 200 euro al mese di rimborso spese. Invece ho passato mesi a lavorare una media di 12/13 ore al giorno, con i ritmi stressanti di un ristorante stellato. Io sono arrivato quando un’altra tirocinante se ne stava andando e ho visto episodi umilianti che mi fa male anche solo raccontare. Ricordo che durante uno degli ultimi giorni di stage della ragazza alcuni componenti della brigata le hanno tirato addosso di tutto – gavettoni, cibo – e lei a un certo punto è dovuta entrare dentro a una tinozza, senza uniforme, per pulirsi da tutto quello che le avevano lanciato addosso. Capitava a volte che non riuscissi nemmeno a cenare, o perché c’era troppo da fare oppure perché ero talmente stanco che manco riuscivo a farmi venire un minimo di appetito. Sicuramente ero lì per imparare, ma per 200 euro al mese praticamente vivevo per lavorare e mi era impossibile mantenermi e lavorando così tante ore non avrei nemmeno potuto trovare altro per integrare. Era un ambiente particolarmente opprimente, gli standard molto alti e questo è assolutamente comprensibile, però io venivo pagato poche centinaia di euro al mese, così tutti gli altri stagisti, ma ero a tutti gli effetti un elemento della brigata. Dopo mesi a lavorare con questi ritmi e in un clima tossico, ho sviluppato uno stato depressivo che mi ha costretto a dimettermi dal tirocinio. Proprio questa esperienza con il mondo del lavoro italiano mi ha convinto a lasciare il mio Paese per emigrare all’estero. Ora lavoro, guadagno uno stipendio di tutto rispetto, ho le mie tutele e i miei benefit. Nulla a che vedere con quello che, ancora oggi, offrono in Italia, a giudicare dagli annunci che vedo online”.
Chiara – è stata l’assistente personale di un famoso chef stellato che ha un rinomato ristorante in Lombardia: “il clima è come Hell’s Kitchen, identico. Gli chef sono artisti, da un lato hanno un estro e una sensibilità molto marcati, dall’altra parte però sono spesso estremamente nevrotici. Devo dire che dov’ero io avevano tutti un contratto regolare ma le ore di lavoro erano decisamente molte di più di quelle effettivamente retribuite, gli straordinari pagati praticamente non esistono. Di fatto non c’è abbastanza personale per organizzare turnazioni umane come da contratto. E gli stipendi non è che siano diversi da quelli di un ristorante meno blasonato, anzi. L’esperienza è stata molto positiva per tanti aspetti, era un ambiente molto stimolante dove davvero ho visto un amore verso il cibo sconfinato, l’attenzione alla selezione delle materie prime, degli accostamenti, lo studio certosino che sta dietro ogni preparazione che non si vede certo dappertutto, è un qualcosa di straordinario. Certo è che i ritmi erano decisamente frenetici e pochissimi resistono più di qualche mese, la tensione a livello psicologico è estremamente pesante. Dove lavoravo io, ma per conoscenza diretta è così anche in tantissimi altri stellati, la cucina era piena di stagisti che ruotavano a un ritmo impressionante, pochissimi reggono il peso della competizione altissima e dei ritmi lavorativi imposti e fuggono. Li capisco, io stessa sono scappata. Uno stagista dovrebbe essere formato ma di fatto non c’è il tempo perché si lavora in maniera molto veloce e spedita e se uno non ha una professionalità consolidata alle spalle è difficile che riesca ad apprendere davvero. Tantissimi scappano proprio per questo, sono davvero pochi quelli che riescono a tenere duro e a intraprendere una carriera continuativa in questo ambiente. Questi problemi e questo clima militaresco sono noti a tutti, in primis agli chef famosi, nessuno però ne parla nonostante sia risaputo nell’ambiente”.