Torniamo a parlare di smart working. Il Coronavirus ha portato con sé una grande rivoluzione: il lavoro agile, una modalità lavorativa già esistente ma mai così tanto usata prima d’ora.

Lo smart working permette ai dipendenti di lavorare comodamente da casa, o da qualsiasi altro spazio diverso dall’ufficio. Consente di scegliere autonomamente i tempi, ed è molto più incentrato sul raggiungimento degli obiettivi.

Tuttavia, se è vero che lo smart working rappresenta il futuro del mondo del lavoro, è indispensabile regolamentarlo. L’emergenza non ha consentito di dare una struttura al lavoro agile, in Italia come all’estero. Risultato: smart working e tele lavoro sono diventati la stessa cosa, seppur si tratti di due modalità estremamente diverse.

Con gli uffici chiusi, le aziende hanno avuto dei vantaggi in termini economici, risparmiando sui consumi. Viceversa i dipendenti, lavorando soprattutto da casa, hanno visto lievitare le bollette, oltre a lasciare aperta la porta della tanto abusata reperibilità.

Per questo in Svizzera un giudice ha deciso di obbligare un’azienda elvetica a pagare un extra mensile a tutti gli smart worker, per contribuire alle spese di affitto e agli altri costi.

Una sentenza che ha riempito di gioia i dipendenti. Ma è importante precisare il contesto.

La decisione è arrivata dopo una discordia legale tra i lavoratori e l’impresa. A causa del conflitto, il giudice ha deciso di premiare il dipendente: così il tribunale ha obbligato l’azienda a versare 150 franchi svizzeri al mese a favore del lavoratore (circa 140 euro in più sulla busta paga).

Ma c’è di più. Il provvedimento ha effetto retroattivo, che significa risarcire i lavoratori smart anche per i mesi precedenti alla sentenza. Tuttavia, il provvedimento è valido solo nel caso in cui il dipendente sia stato obbligato a lavorare da remoto contro la propria volontà, e non nel caso in cui sia stato concordato da entrambe le parti.

Fonte: tpi.it