La teoria della cinque fasi per veicolare la comunicazione durante l’emergenza
Per comunicare in questa fase servono grande sensibilità ed empatia. Le aziende, non solo quelle direttamente colpite dal virus, hanno rallentato gli investimenti, consapevoli sia dei rischi economici sia del carico umano e sociale che questa situazione comporta. Ma si può parlare d’altro?
Senz’altro non si può far finta di nulla, e continuare a portare avanti la narrazione con il vecchio storytelling è una scelta improduttiva oltre che insensibile. Alcune aziende hanno cercato di rimanere vicine ai propri clienti anche in una situazione così delicata: è il caso di BMW che con la campagna #Flattenthecurve invita i suoi dipendenti a stare a casa e lasciare la macchina in garage. O Mc Donald’s che in Brasile ha diviso gli archi del logo per ricordare di proteggersi mantenendo le distanze.
Iniziative di questo tipo sono sorprendenti, poiché capaci di ancorare la comunicazione al purpose, facendosi guidare dai valori e soprattutto coinvolgendo dipendenti e collaboratori. Ecco che torniamo all’importanza della sensibilità: chi si occupa di comunicazione dev’essere consapevole delle dinamiche che una situazione inconsueta come questa genera a livello collettivo.
Per capire meglio come la comunicazione, intendendo con essa ogni forma di strategia atta a veicolare un messaggio, influisca sul pensiero sociale, possiamo servirci della teoria della cinque fasi di Elisabeth Kubler-Ross. Sviluppato per descrivere l’elaborazione del lutto, il modello può essere utile anche per spiegare le onde emotive che si susseguono durante l’emergenza sanitaria, attraverso web e social, raggiungendo le singole persone.
Abbiamo attraversato la prima fase di negazione della realtà, durante la quale abbiamo cercato di difenderci dal virus cercando rassicurazione nelle nostre certezze (ricordate #Milanononsiferma?) e alimentando l’ottimismo, ad esempio mostrando entusiasmo per lo smartworking, organizzando flashmob sui balconi e sostenendo l’iniziativa #andràtuttobene.
La prima fase, purtroppo, si è esaurita in pochi giorni, e siamo rapidamente passati al secondo momento, quello che nella teoria di Kubler-Ross è noto come fase della rabbia. Abbiamo cominciato a prendere coscienza della gravità della situazione con i numeri dei contagiati diffusi dai bollettini della Protezione civile; la reazione è stata, appunto, una rabbia diffusa e incontrollata, vomitata contro chi non rispettava le restrizioni governative, sempre più stringenti, ma anche contro le autorità, incolpate di non essere in grado di controllare la diffusione.
Ora siamo nella fase di contrattazione: cerchiamo di salvare il salvabile facendo leva sulle nostre risorse, e riconoscendo il valore degli altri: medici e infermieri che ogni giorno lottano per salvare vite, lavoratori che continuano a garantire i servizi essenziali, imprese che tutelano i propri lavoratori facendo il possibile per proteggerli dalla crisi.
Arriverà la fase della depressione, nella quale faremo i conti con le gravi conseguenze provocate dal famelico virus. E poi arriverà la fase dell’accettazione, durante la quale studieremo strategie per rialzarci e ricostruire il nuovo mondo post emergenza, mettendo in piedi quella che sarà la nuova normalità.
Le aziende possono sopravvivere in tutte queste fasi anche grazie alla comunicazione. Essa, tuttavia, dev’essere regolata, adattando il tono a seconda del contesto e della delicatezza del momento che i cittadini stanno attraversando.