Rispondiamo subito alla domanda: la paura che l’innovazione sia portatrice di peggioramenti sociali è in gran parte infondata, soprattutto se i cambiamenti sono sostenuti da un sistema scolastico che permette di gestire la nuova epocale rivoluzione industriale.

La storia è sempre stata dissestata e sconvolta dalle tecnologie, che hanno sostituito la fatica dell’uomo e sono andate a migliorarne le condizioni di vita. Nel tempo il lavoro  non è mai scomparso, ma si è modificato. La rivoluzione industriale, per esempio, ha portato alla costruzione del motore a scoppio e successivamente all’utilizzo dell’energia elettrica, facendo strage di mestieri prima ampiamente diffusi, ma creandone al contempo di nuovi, nuove opportunità e professioni, che hanno migliorato le condizioni stesse dei lavoratori.

L’era dell’innovazione digitale si sta affermando con le stesse modalità: sta sottraendo all’uomo le attività più manuali creando nuovi spazi, laddove ci sia la possibilità e la voglia di tenersi al passo. Per questo la fine dei lavori, la disoccupazione di massa, è un semplice spauracchio, spesso sventolato davanti agli occhi impauriti della popolazione per celare una palese assenza di formazione adeguata ai bisogni delle aziende. Ad oggi, in un mondo in cui sono necessarie competenze specifiche per poter gestire i cambiamenti tecnologici, manca completamente la corrispondenza tra i lavori richiesti e la preparazione offerta dal sistema formativo italiano. È vero che si tratta di un momento di transizione in cui moltissimi lavoratori rischiano di essere considerati inadeguati ai ruoli professionali richiesti, ma questo è un problema che andrebbe risolto con la strutturazione di un impianto formativo efficiente e adeguato al mercato del lavoro, andando a mitigare la durata e la potenza dell’impatto sociale creato dal passaggio ad un’economia digitale. Servirebbe una scuola in grado di fornire ai giovani il giusto equilibrio tra conoscenza tecnica e forma mentale in fase con il nuovo orizzonte. I giovani avrebbero in questo modo maggiori possibilità di trovare lavoro, magari anche ben retribuito.

Possiamo dunque affermare che la formazione vince la sfida tecnologica e non solo: ha in potenza le capacità di abbattere le diseguaglianze sociali. Perché? Come sottolineato nel libro “Il danno scolastico” di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi, una scuola di bassa qualità allarga il solco tra ceti alti e bassi, in quanto non fornisce le competenze necessarie per immettersi nel mondo del lavoro.

Un passo importante in questa direzione arriva sicuramente dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che stanzia 1,5 miliardi di euro alla riforma e riorganizzazione degli ITS, con lo scopo di formare nuovi docenti, migliorare gli impianti scolastici e formare un ponte più solido tra scuola e aziende. Gli ITS, nonostante siano spesso sottovalutati e vittima di pesanti pregiudizi sociali, rappresentano in realtà un’ottima alternativa al percorso universitario poiché sono strumento di sviluppo immediato di competenze pratiche negli ambiti dell’innovazione.

In conclusione, solo disponendo di percorsi formativi all’avanguardia, l’avanzamento tecnologico non sarà portatore di disoccupazione. Al contrario, sarà la molla per il miglioramento di lavoro, reddito e crescita sociale.