In Ferrari uomini e donne hanno lo stesso stipendio
Ferrari ha ottenuto il riconoscimento Equal Salary per la parità di retribuzione. A Maranello donne e uomini hanno lo stesso stipendio.
Quella che dovrebbe essere la novità nel 2020 è ancora un merito straordinario. Infatti, Ferrari, dove le donne sono il 14% dei 4.300 dipendenti, è la prima organizzazione italiana a ricevere questa certificazione:
“Il riconoscimento testimonia l’impegno della Casa di Maranello per un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle differenze, che sostenga allo stesso tempo lo sviluppo professionale di ciascuno” annuncia Ferrari in una nota.
La certificazione è stata conferita dalla fondazione svizzera Equal Salary al termine di uno studio durato otto mesi da parte della società di revisione PwC secondo una metodologia riconosciuta dalla Commissione Europea. Il conferimento del merito, inoltre, ha previsto un’accurata analisi dei livelli retributivi. Risultato: il Cavallino Rampante si posiziona tra le aziende europee che hanno eliminato con successo il Gender gap.
Non solo. La commissione ha anche valutato le politiche di gestione e sviluppo delle risorse di Ferrari. Per farlo, sono stati chiamati in causa gli stessi dipendenti: è stato chiesto loro di partecipare a sondaggi in forma anonima, interviste individuali e focus group, così da raccogliere direttamente dagli interessati la percezione della cultura aziendale in tema di inclusione e diversità.
Anche in questo caso i risultati sono stati positivi. Louis Camilleri, Amministratore Delegato di Ferrari ha dichiarato:
“Siamo fieri di ricevere questa certificazione, che rappresenta una pietra miliare importante nel percorso verso il miglioramento continuo del nostro posizionamento e delle nostre azioni per un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle differenze. La parità retributiva e di opportunità non riguarda solo un principio di equità. È un pilastro fondamentale per attrarre, trattenere e sviluppare i migliori talenti e stimolare così l’innovazione e la nostra crescita nel lungo periodo”.
Fonte: repubblica.it