Con la fase 2 2,7 milioni di italiani tornano a lavoro. Una buona notizia per tutti quei i lavoratori che possono riprendere la propria attività dopo due lunghi mesi di fermo. Ma c’è un dato su cui riflettere: oltre il 70% dei suddetti lavoratori sono uomini. Non si tratta, ovviamente, di una decisione sessista del nostro Governo, ma è il risultato della scelta delle attività a cui è concesso ricominciare: il settore manifatturiero e quello delle costruzioni, per esempio, vedono una prevalenza di occupati di sesso maschile.

Qualsiasi sia il motivo, la situazione genererà delle conseguenze spiacevoli per il popolo di lavoratrici italiane. Infatti, con il ritorno degli uomini a lavoro, le donne vedranno aumentare il carico delle attività di cura della famiglia, riducendo ulteriormente la loro offerta di lavoro, già minata dalla chiusura delle scuole e dall’assenza di alternative per la gestione diretta dei carichi familiari.

La fase 2 non fa altro che sottolineare una situazione imbarazzante. Il tasso di occupazione femminile in Italia è del 49,9% (dati Istat), decisamente inferiore rispetto al resto delle percentuali europee: la media del nostro continente è del 67,7%, e supera il 70% in Paesi come la Finlandia, la Svezia, il Portogallo e la Lituania. Il gap del tasso di occupazione tra uomini e donne in Italia,  valido per la fascia d’eta tra  15 e i 63 anni, ha raggiunto i 18 punti.

Eppure il livello d’istruzione femminile nel nostro Paese supera quello degli uomini. Tanto per dirne una, le donne rappresentano il 56% dei medici iscritti all’albo, e sono il doppio degli uomini tra i medici con meno di 40 anni. Inoltre, il 77% degli infermieri è donna. Secondo i dati del Censis, in Italia ci sono più laureate che laureati, per l’esattezza il 56% dei 7,6 milioni totali. Un dato, quest’ultimo, che ha visto un progressivo aumento negli ultimi cinque anni. A ciò si aggiunge la forte presenza femminile negli studi post laurea, con il 59,3% degli iscritti ai dottorati di ricerca.

Anche i risultati femminili sembrano essere migliori. Il 5,5% delle donne si licenzia dalle scuole secondarie con 10 e lode, contro il 2,5% degli uomini. Il loro voto medio di maturità è di 79/100, contro il 76/100 degli uomini. Il 55,10% delle donne conclude gli studi universitari in corso, e il 24,9% di loro si laurea con 110 e lode, contro il 19,6% degli uomini.

Nonostante l’ottimo livello di preparazione, la maggior parte delle donne non ha un lavoro. La scarsità di servizi per l’infanzia, soprattutto al Centro Sud, costringe molte mamme a rinunciare al lavoro una volta arrivato il primo figlio. Risultato? Più di 4 mamme su 10 non hanno un lavoro, mentre oltre il 40% delle donne con almeno un figlio accetta contratti part time pur di mantenere l’occupazione. Inoltre, secondo una ricerca di Manageritalia basata sui dati Istat e Isfol, il 27% delle donne lascia il lavoro dopo il parto.

Una situazione che viene aggravata dalla pandemia. Il bonus baby sitter viene considerato insufficiente da gran parte delle famiglie, e il rischio di contagio ha privato molte famiglie degli aiuti domestici, finora indispensabili. La convivenza forzata potrebbe indurre a pensare a una migliore suddivisione dei compiti domestici tra marito e moglie. Ma anche in questo caso gli italiani si dimostrano incapaci di liberarsi dai vecchi retaggi. Dall’ultima indagine Istat emerge che le donne tra i 25 e i 43 anni, in coppia con figli, dedicano ogni giorno al lavoro familiare il 21,6% del proprio tempo. Gli uomini, invece, ammettono di impegnare solo il 9,5% della giornata.

Fonte: repubblica.it