Dallo Smart working non si torna indietro: l’Italia deve convertirsi per sempre al lavoro agile
Il Coronavirus sta avendo alcuni effetti collaterali positivi, tra cui l’uso massiccio dello smart working. Mai prima d’ora il lavoro agile aveva conosciuto così tanto successo in Italia. Attualmente il 56% degli italiani ammette di voler continuare a lavorare in smart working anche a fine emergenza, alternandolo alla presenza fisica in ufficio.
E’ quanto emerso dallo studio dell’Osservatorio creato da Nomisma in collaborazione con Crif. I risultati riflettono una situazione sorprendente: tantissimi lavoratori hanno imparato a gestire le proprie attività con strumenti e dispositivi tecnologici innovativi, accelerando un processo che normalmente avrebbe richiesto anni. Questo perché lo smart working, nonostante esista da moltissimi anni, è stato usato pochissimo dagli italiani. Prima dell’emergenza, infatti, il lavoro agile era usato solo da 500mila dei 23 milioni di lavoratori del Bel Paese. Con il lockdown, invece, i lavoratori smart sono diventati 8 milioni.
Il nuovo obiettivo è quello di slegare il lavoro agile dall’emergenza. La percezione attuale, infatti, è quella di una costrizione: si lavora da casa perché non si può uscire. Ma la prigionia è dovuta al virus non allo smart working. Il lavoro agile, infatti, è sfruttabile anche in situazioni di assoluta libertà, capace di migliorare la vita di tutti: meno stress per recarsi in ufficio, riduzione dell’inquinamento, migliore gestione dei conflitti tra i colleghi e più tempo libero da passare in famiglia o dedicandosi alle proprie passioni. Anche le aziende ne beneficiano: diminuiscono i costi per gestire uffici costosi, vengono ridotte le microconflittualità e la produttività aumenta tra il 15% e il 20%.
D’altro canto quello che stiamo svolgendo adesso non può essere definito smart working, ma semplice lavoro da remoto. Questo perché manca la sua caratteristica fondante, cioè l’agilità. Il lavoro agile è tale perché consente di svolgere ciò che normalmente faremmo in ufficio in qualsiasi altro luogo. Inoltre dev’essere gestito con i giusti strumenti, preparati ad hoc e maneggiati con esperienza dai lavoratori. Tuttavia, nonostante nessuno fosse preparato, il virus ha costretto le aziende a convertirsi al lavoro agile.
Allora perché lo smart working non è stato adottato prima? Per rispondere ci avvaliamo dell’esperienza di Domenico De Masi, il noto sociologo che si batte per la diffusione del telelavoro in Italia da circa quarant’anni. Per De Masi il motivo è da ricercare nella nostra concezione antiquata del potere che pesa sulle spalle dei lavoratori, pressati dalla contiguità fisica dei datori. A ciò si aggiunge la nostra fisiologica ostilità ai cambiamenti.
La speranza, non solo per De Masi ma per tutti, è che non si torni indietro. Lo Smart working andrebbe adottato anche dopo l’emergenza, assecondando la richiesta dei lavoratori che l’hanno sperimentato. La sua adozione è vantaggiosa per tutti, ed è solo il primo passo verso il cambiamento del lavoro. In fin dei conti il virus ha semplicemente fatto in modo rapido e disorganizzato quello che un buon piano d’azione avrebbe fatto lentamente e bene, ma è pur sempre un ottimo risultato.