Come diventare un super brain
Fin da piccoli siamo abituati a dividere le persone in due categorie: quelle con talento e quelle senza. L’effetto, dal punto di vista educativo, è dannoso: da un lato il talentuoso è schiacciato dal peso dell’eletto, dall’altro i “normali” rinunciano a lanciarsi in nuove sfide semplicemente perché “non si sentono portati” per determinate attività.
Ma interrogando le scienze cognitive salta fuori un nuovo concetto di talento. In realtà il termine è abusato, e indica semplicemente una propensione, che nell’ambito cognitivo conta solo il 10%. Più che di talento sarebbe opportuno parlare di intelligenza. E quella ce l’abbiamo tutti, seppur con una forma diversa: esiste l’intelligenza linguistica, tipica di chi è portato per la scrittura, quella cinestetico motoria posseduta, ad esempio, dagli chef, quella matematica, e così via.
Perciò dobbiamo ribaltare le nostre convinzioni. Nessuno ha un’innata capacità straordinaria, ma tutti abbiamo un’intelligenza, definita come l’abilità dell’essere umano di rispondere agli stimoli ambientali. L’intelligenza, d’altronde è fluida: si adatta a nuova situazioni ed è in grado di modificarsi.
Per sviluppare la fluidità la mente ha bisogno di allenamento. E’ questo quello che si nasconde dietro i cervelloni: i cosiddetti super brain come Einstein non hanno niente di speciale dal punto di vista genetico, quando il suo cervello è stato analizzato non è stato trovato nulla fuori da normale se non una straordinaria capacità di immaginazione, sviluppata attraverso l’allenamento.
Ma che tipo di allenamento trasforma un cervello normale in un super brain? Assodato che chiunque può ambire ad eccellere, bisogna entrare nel loop di un allenamento quotidiano. La proceduralità schiaccia il cervello, dunque non ci sono attività specifiche che ci consentono di aumentare la nostra materia grigia. L’importante è che ogni giorno io sappia fare qualcosa in più rispetto a ieri. L’allenamento dev’essere non solo costante ma anche lungo: così come per diventare un culturista ho bisogno di dieci anni di sollevamento pesi, così per essere un super brain devo allenare per anni il mio cervello ad assorbire nuove informazioni.
Tutto questo, chiaramente, ha un certo valore nell’ambito lavorativo. Chiunque ambisce a diventare un cervellone ha bisogno di uno spazio stimolante. Quindi se è vero che i selezionatori assumono persone con comprovate capacità, è anche vero che l’azienda deve offrire ai dipendenti la possibilità di stimolare le suddette capacità. Se il “talentuoso” non trova questo spazio, andrà via, lasciando un grande vuoto nell’organizzazione.
Non solo. Un altro fattore importante che gli imprenditori sottovalutano è la motivazione. Si tratta di un concetto semplice, lineare, che ha a che fare con la soddisfazione di due bisogni dell’essere umano: l’affetto, che si soddisfa entro i cinque anni di vita, e la socializzazione.
Dunque, se i manager desiderano che i propri dipendenti continuino a migliorare devono motivarli. Cosa che, ahimè, spesso non si fa: si pensa che tutto si basi sul fare carriera, che equivale a raggiungere un nuovo status economico. In realtà, una volta raggiunto il tetto massimo del guadagno, il lavoro passa dall’essere un costante allenamento cognitivo, ad una procedura, in cui non si impara niente e si fa lo stretto indispensabile. Persa la motivazione il cervello si adagia a una condizione di normalità, e addio grandi risultati.
Per concludere, ognuno di noi può diventare ciò che vuole. Abbandonate gli stereotipi sul talento che sgretolano i vostri sogni. Come in ogni cosa, il segreto è nella forza di volontà: cominciate fin da subito ad allenarvi per essere chi sognate.