Il Covid-19 ha monopolizzato l’informazione. I giornali non parlano d’altro, e a nessuno interessa distogliere lo sguardo per riflettere su tutti gli altri problemi che affliggono l’umanità. Nell’era pre Covid, tuttavia, si stava pian piano diffondendo la cultura della sostenibilità: sensibilizzati dalle parole di Greta Thumberg stavamo cercando nuove soluzioni per arginare i disastri ambientali e salvare il nostro Pianeta.

Nonostante il generale disinteresse, questo problema esiste ancora. Dopo aver sconfitto il virus, cosa succederà all’ambiente? Se durante il lockdown la natura ha approfittato della nostra assenza per riprendersi il suo posto, una volta aperte le gabbie gli uomini ricominceranno a far danni. Vogliamo davvero dire addio a cieli stellati, parchi rigogliosi e aria pulita? Restituendoci tutto questo la Terra ci ha fatto un gran dono, di cui dobbiamo prenderci cura. Se non lo facessimo condanneremmo a morte la nostra casa.

Una delle peggiori conseguenze dell’inquinamento è il cambiamento climatico. Per contrastarlo, oltre alle scelte che interessano i singoli cittadini, possiamo far affidamento su una nuova figura professionale, tutta da inventare e definire: il climate transformation manager. Se la rivoluzione tecnologica ci ha restituito il digital manager, oggi più che mai la rivolta della Terra ci obbliga a pensare a nuovi esperti. Il climate transofrmation manager è sostenibile, perché contrasta il cambiamento climatico con scelte riguardanti tutta la filiera, dall’approvvigionamento all’erogazione dei servizi. Questo vuol dire ridurre, riciclare, riusare, risparmiare e gestire l’impresa in perfetta sintonia con l’economia circolare e gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu.

Ma il climate transformation manager è anche resiliente. Infatti, dev’essere capace di rispondere al cambiamento climatico con scelte di mutamento e adattamento. Il climate change, non a caso, è contemporaneamente un rischio e un’opportunità: nuovi modelli di business basati sul clima possono aprire nuovi mercati.

Per cambiare la cultura aziendale e allinearla alle esigenze dell’ambiente, dunque, il climate trasformation manager deve comportarsi come un medico. In sostanza la sua azione è divisa in quattro fasi: l’anamnesi, ovvero la ricerca di eventuali problemi, necessità e vulnerabilità che affliggono la realtà aziendale. Il secondo momento coincide con l’analisi dei dati, ovvero elaborare una strategia basata sui dati predittivi e gli scenari futuri. La terza è la fase della ricetta, nonché la prescrizione degli accorgimenti per evitare il sopraggiungere dei sintomi del climate change. Infine, la formazione, cioè la diffusione delle basi informative sul tema, a tutti i livelli aziendali.

Le competenze del climate transformation manager sono numerosissime ed ancora poco chiare. Vanno dall’alfabetizzazione climatica al business remodelling, passando attraverso il marketing e l’analisi geopolitica. Intano nascono i primi master e corsi universitari sui cambiamenti climatici.

Insomma, quella del climate transformation manager è una figura complessa, la cui preparazione è indispensabile per garantire futuro non solo alle aziende, ma all’intera umanità.